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  • Immagine del redattoreDiego Nicola Dentico

Ixchel – Ixchebelyax – Ixhunie – Ixhunieta, Dea dei curanderos



Ixchel

All’interno della cosmovisione maya, specialmente dello Yucatan, ma anche guatemalteca, Ixchel-Ixchebelyax, la Signora della Luna, della Terra e delle acque, occupa un posto di grande importanza. Legata al nahual Ix dall’evidente suffisso che significa “donna” e “giaguaro”, Ixchel era originariamente una Dea-giaguaro, molto simile alla Dea azteca Toci Yoalticitl, ovvero la Signora Giaguaro medichessa notturna.

L’etimologia del suo nome è incerta, presumibilmente la parola “chel” significa arcobaleno, pertanto il suo nome potrebbe significare “Donna-Arcobaleno”. Talvolta il geroglifico di Ixchel è collegato ai geroglifici che stanno per rosso o per bianco, pertanto veniva chiamata anche la Signora Rossa o la Dea Bianca. Nella tradizione maya il rosso è collegato all’alba e al futuro, all’apparizione e la manifestazione del creato, mentre il bianco rappresenta la notte illuminata dalla Luna, le radici spirituali dell’universo.

Ixchel è legata alla Luna in quanto Dea della fertilità, del concepimento e del parto. Nella cultura maya, la Luna influenzava tutti questi aspetti. Ixchel, rappresentata spesso mentre versa acqua da una brocca, era soprattutto vicina all’aspetto della luna calante (la brocca vuota) e la pioggia. Nel territorio guatemalteco, la pioggia cade in stagioni specifiche che possono essere calcolate attraverso l’osservazione del calendario lunare, elemento che sottolinea il legame Luna-pioggia.

Nelle sue raffigurazioni più antiche è dipinta come un’anziana dalle orecchie feline, ma tra i suoi animali “totem” compaiono anche il coniglio (di nuovo, connessione con la Luna) e il serpente (connessione con la Terra – legame che condivide con la “cugina” azteca Coatlicue). Terra, Luna, acqua e vegetazione sono dunque le ierofanie attraverso le quali questo potentissimo spirito si manifesta. È possibile, considerandone gli attributi, la potenza e l’antichità, che Ixchel sia stata la Dea centrale della fase matriarcale di alcune comunità maya.

​In una leggenda verapaziense (Messico) riportata da Las Casas, Ixchel è la compagna di Itzamnà (“Casa dell’iguana”), il Sole, ma questa figura, in realtà, parrebbe essere la divinizzazione di un sacerdote del periodo formativo della civiltà Maya. Nel mito i due Dei sono marito e moglie, spiriti creatori, e congiunti danno vita a tredici figli, ovvero le lunazioni in un anno solare. Questo riferimento è l’unico che abbiamo in cui Ixchel viene chiamata per nome, ma esistono diverse mitologie maya localizzate in cui compaiono Dee anziane.


Maria B'atz'bal

In Guatemala, per esempio, era conosciuta la Dea B’atzb’al (“telaio” tra gli Tz’tujules e i Cakchiqueles), oggi sincretizzata con la Vergine Maria. B’atzb’al viene chiamata giocosamente la “moglie del Maximòn”, un idolo costruito presumibilmente ai tempi del primo tentativo di espoliazione coloniale nel ‘500.

Il Maximòn, nonostante a livello popolare sia considerato un feticcio in cui gli Aj’ quij’ dell’epoca infusero uno spirito dei regni inferiori, è in realtà una raffigurazione del Dio morente Hun Hunajpu che compare nel Popol Vuh, padre dei gemelli Hunajpu e Ixbalamké e che resuscita proprio grazie alle opere dei suoi figli. L’idolo del Maximòn è oggi al centro delle festività pasquali, durante le quali viene smontato e rimontato in un rituale di morte e rinascita. Il Maximòn fu costruito con il legno duro e pesante del palo pito, uno degli alberi sacri della tradizione maya dell’Altipiano. In alberi dello stesso tipo, gli archeologi hanno trovato inciso il volto del Dio che, in effetti, prima di risorgere come giovane Signore del mais, compare nel mito come teschio su un albero e in questa forma rende gravida Ixquic.

Se diamo per buono che B’atzb’al e il Maximòn siano “sposati” e se diamo per valida l’identificazione fra il secondo e il Hun Hunajpu, ne consegue che B’atzb’al è la stessa Ixquic, la Donna Sangue, ovvero la Dea nel suo aspetto di fanciulla fertile. È altrettanto possibile, dato che la Luna è connessa alla fertilità attraverso la somiglianza tra i suoi moti e la durata dei cicli mestruali, che la forma assunta da Ixchel in Guatemala sia proprio quella di Ixquic.


Hun Hunajpu come albero

A Ixchel e Itzamnà gli antichi facevano offerte e autosacrifici anche cruenti (per esempio forandosi il naso o la lingua al fine di versare il sangue nella terra) principalmente chiedendo salute e buoni temporali nei mesi del calendario Haab Wo (come riporta Diego de Landa) o Sip. Successivamente, ovvero nel periodo post-classico (925 – 1200 CE), la cultura Maya, che si era arricchita di nuovi elementi, non si rivolgeva solamente alla coppia Ixchel-Itzamnà per conservare la salute, ma anche a una moltitudine di esseri provenienti dallo Xibalbà, messaggeri dei Signori della Morte.

Le feste della Dea erano conosciute con il nome di Ihcil Ixchel, ovvero il “bagno di Ixchel” ed erano officiate da curanderos e sacerdoti.

Come si accennava prima, il serpente che accompagna Ixchel è una rappresentazione del potere tellurico e terrestre, ma non solo: spesso i pittogrammi di Ixchel includono il marchio del nahual Noj-Caban, ovvero “Terra”. Anche in questo caso, la Luna appare come attributo temporale della Grande Madre Terra, perché il calendario agricolo è collegato ai movimenti dell’astro.

Sempre Diego de Landa riporta che a nord dell’isola di Cozumel, sulla quale si trovava un importante centro cerimoniale dedicato alla Dea, si trovasse un’isola più piccola soprannominata “isola delle donne” per via dei numerosi idoli femminili rinvenuti.

Dea della Terra e della vegetazione, Ixchel è la Dea anche delle piante medicinali. Come abbiamo visto la sua festa cadeva nei mesi di Wo e Sip, durante i quali vengono onorati i medici. In quanto dono divino e disciplina che abbraccia sia gli aspetti fisici del benessere che quelli dello spirito, Ixchel è anche la Dea del Curanderismo e la sua influenza si estende sui curanderos di ogni tipo, ma specialmente sulle parteras.

Nel suo libro Sastun, Rosita Arvigo riporta che il suo maestro don Elijio, un Ac-Men del Belize, si rivolgeva in alle Quattro Vergini (del Carmen, di Guadalupe, di Lourdes e di Fatima) per ottenere la guarigione dei propri pazienti. Le Vergini cattoliche, in un quadro sincretico nel quale l’Ac-Men si rivolgeva anche a spiriti maya tradizionali, quali Chaac e Yax tum Bak, avrebbero assorbito le antiche caratteristiche di Ixchel permettendo alla Dea di continuare a esistere sotto mentite spoglie.


Gli Ibeji

Ixchel, infine, trova spazio anche nelle forme di spiritualità afroamericane. Nel Candomblé e nell’Obeah, infatti, viene identificata come Daum, ovvero il terzo fratello dei Santi Medici Cosma e Damiano, le cui immagini sincretizzano gli Ibeyi della religione yoruba.

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