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  • Immagine del redattoreDiego Nicola Dentico

Anime di pioggia

Ovvero come invocare la pioggia dal Cuore del Cielo per non fare inaridire il campo delle nostre emozioni.


Chaac (Tlaloc)

Aq’aroq, At Tz’aqol, At B’itol! Kojawila’, kojata!Mojtzaqo, mojapisq’alij.

At Kab’aqwil chi Kaj, chi Ulew! Ukux Kaj, Ukux Ulew. Chaya’ ta qetal, qatzijol, chi b’e q’ij, chi b’e saq.K’i’ ta raxa b’e, raxa jok kojaya’ wi.

Li’anik saq, li’anik amaq’ taj.Utzilaj saq, utzilaj amaq’ taj. Utzilaj k’aslem, winaqirem ta puch koaya’ wi. At Jun Racàn,

Ch’ipi Kaqulja, Raxa Kaqulja,

Ch’ipi Nanawak, Rax Nanawak,

Wok, Jun Ajpu, Tepeu Q’uqumatz,

Alom, K’ajolom,

Ixpyacoc, Ixmucané,

Rati’t Q’ij, Rat’it Saq. Ta chawexoq! Ta saqiroq!


(Popol Vuh)



La spiritualità #Maya vede il mondo come una rete di relazioni che originano da un Grande Essere Misterioso che si manifesta in tutta la creazione. Tutte le immagini degli “dèi” preispanici, pertanto, non sono da considerarsi un politeismo, ma allegorie che ci ricordano che nei fenomeni naturali (e psichici) è presente la Coscienza – esseri umani compresi. Questa “qualità umana”, completamente slegata dall’umano in senso antropico, veniva chiamata “hun #winaq”, ovvero “venti”, così come 20 sono le forze cosmiche del calendario.

Se in molti luoghi del #Messico e del #Guatemala era presente un Cuore del Cielo rappresentato essenzialmente dal Sole, in molti altri assumeva l’aspetto di #Chaac (#Tlaloc per i #Mexica) ovvero il dio della pioggia, la coscienza dell’acqua celeste e terrestre. Secondo il mito, Chaac era accompagnato dai chaac, spiriti minori della stessa natura, che agivano come suoi intermediari. Era il paredro della dea #Chalchiuhtlicue, colei che “ha la gonna di giada”, ovvero la signora delle cascate e delle onde, protettrice delle gravidanze e dei bambini. In definitiva, la dea della Vita.

In questi giorni di restrizione ho avuto molte opportunità di viaggiare sciamanicamente e di guidare gruppi di meditazione online gratuiti per avvicinarci e sentirci una famiglia in cerchio nonostante la lontananza e l’isolamento forzati. In tutto questo lavoro, le guide mi hanno invitato a tenere sempre presente il Cuore del Cielo in tutte le sue manifestazioni più acquatiche.

Nell’intervento spiegherò alcune cose che derivano dalla cultura Maya tradizionale attraverso il #PopolVuh e alcune pratiche che mi sono state suggerite durante i viaggi sciamanici. Si tratta una traccia basata sulla mia esperienza che può essere un invito all’esplorazione e alla personalizzazione, ma di certo non la parola ultima sulla tradizione o sul suo senso. Quella spetta sempre al/la Camminante e mi appoggio alle #Huehuetlatolli (le parole di #Quetzalcoatl ai #Toltechi) per ricordare che:

“In questa maniera ti convertirai in una Persona di Conoscenza: acquisendo l’abitudine e il costume di consultare tutto con il tuo stesso cuore. La sete dei Toltechi: essere umani di propria esperienza.” Il Cuore del Cielo Nel Popol Vuh il Cuore del Cielo appare la prima volta con la creazione del mondo, quando l’assemblea degli dèi emana prodigiosamente tutto ciò che esiste. Da un punto di vista mitologico la creazione non è da intendersi come un principio fissato all’inizio di un tempo lineare, ma come un momento di eterno presente. Gli “dèi”, attraverso le loro parole e il loro canto creano costantemente la realtà in cui abitiamo. Il Cuore del Cielo prende il nome di Jun Racàn, da cui la parola italiana “uragano”, che si può tradurre alla lettera come “una gamba”.

Jun Racàn è la Coscienza che riposa su un’unica gamba: l’Unità. Possiede quattro ipostasi: · Ch’ipi Kaqulja – Raxa Kaqulja (piccolo fulmine, fulmine verde) · Ch’ipi Nanawak – Rax Nanawak (piccola madre, madre verde)

Ch’ipi Kaqulja si può tradurre come “piccolo fulmine” ma anche come “tempesta bambina” e fa riferimento a un fenomeno che a volte, in Guatemala, si manifesta a marzo-aprile. Si tratta, per l’appunto di temporali improvvisi decisamente pericolosi per le colture in quanto, come i bambini, se non ascoltati possono fare danni o inaridire le fonti d’acqua. “Nanawak” (“madre” in lingua Maya Quiché) indica che se nell’Unità la Coscienza è al di là del genere, nella manifestazione duale può intendersi sia come maschile che come femminile.

Rax o Raxa si traduce invece come “verde” e si relaziona alle tempeste della stagione delle piogge che portano nutrimento alla terra e alla vegetazione.


Chalchiuhtlicue

Appari! Tu, Tz’aq’ol, Tu B’itol! (Creatore – Formatrice) Guardaci, ascoltaci! Non ci abbandonare, non ci tradire. Tu, Duplice Volto del Cielo e della Terra. Cuore del Cielo, Cuore della Terra. Dacci il segno, donaci discendenza mentre il sole è ancora alto, mentre ancora c’è chiarore. Quando viene l’ora di seminare, quando sorge il sole, conducici su cammini verdi, su strade verdi. Che siano valli piane e villaggi piani. Valli e villaggi bellissimi. Che sia buona la vita che ci concedi. Tu, Jun Racàn, Ch’ipi Kaqulja, Raxa Kaqulja, Ch’ipi Nanawak, Rax Nanawak, Wok, Jun Ajpu, Tepeu Q’uqumatz, Alom, K’ajolom, Ixpyacoc, Ixmucané, Rati’t Q’ij, Rat’it Saq.

Ta chawexoq! Ta saqiroq! (Popol Vuh) Il Cuore del Cielo non si trova da qualche parte fuori di noi, o almeno, non solo. Il Cuore del Cielo si trova nell’atto stesso di essere e se qualcosa ci insegna questo periodo di ritiro dettato da un’emergenza sanitaria che si radica in una relazione malata con l’economia e con la Terra, credo proprio che sia la necessità di riconnetterci alla Natura nella sua interezza, a livello profondo. Nel momento in cui arriveremo a intravedere il winaq nella natura che ci circonda non ci sarà facile inquinare il mare, tagliare gli alberi, imprigionare e torturare animali negli allevamenti intensivi perché è comodo o perché “così si è sempre fatto” e “il bacon è tanto buono”. Allo stesso modo recupereremo il mitologico “linguaggio degli uccelli” tanto inseguito dagli eroi di molte leggende e fiabe, ovvero la capacità di comunicare con l’ambiente che ci circonda, che non è frutto di qualche strano potere o magia, ma solo di osservazione e integrazione. Una minore riflessione, che ci separa dall’oggetto su cui riflettiamo, e un maggiore sentire, una maggiore empatia.

Una pratica per contattare i vari aspetti del Cuore del Cielo

Ripeto che questa è una pratica personale. Vi invito a modificarla in qualunque sua parte secondo le vostre necessità e sensibilità. Se i simboli della tradizione mesoamericana vi sembrano lontani e non comunicano niente, e preferite immaginare il Cuore del Cielo come Zeus, Taranis o altre entità che sentite culturalmente vicine, sostituiteli. Se volete abbinare della musica per i vari momenti della contemplazione, sentitevi liber* di farlo. Se siete abituat* a lavorare con la visualizzazione e il viaggio sciamanico, abbinateli come meglio preferite affinché diventi vostra.

La pratica è divisa in quattro momenti fondamentali: uno di apertura e uno dedicato ad ogni aspetto del Cuore del Cielo che si può contattare internamente ed esternamente. Consiglio di eseguirli tutti insieme, ma se la cosa risultasse troppo stancante o difficile, è ovviamente possibile suddividerla nel tempo.


Apertura

Inspiro.

Sollevo le mani verso l’alto, immaginando di poter catturare tutti i corpi celesti e concentrarli in un solo punto luminoso. Uk’u’x Kaj. Cuore del Cielo.

Espiro.

Le mani scendono, porto il Cuore del Cielo al mio cuore. Sono uno con l’Immaginazione Infinita del Cosmo.

Inspiro.

Apro le mani e le allargo verso il basso immaginando di poter abbracciare tutto il potere del mondo tellurico e degli alleati in forma animale. Uk’u’x Ulew. Cuore della Terra.

Espiro.

Le mani salgono, porto il Cuore della Terra al mio cuore. Sono uno con l’Amore Infinito del Cosmo.

Inspiro.

Le mani si aprono come ali a entrambi i lati del mio corpo.

Condivido il mio cuore con il Cuore di Tutti gli Esseri visibili e invisibili.

Sono uno con il Potere Infinito del Cosmo.


Ch’ipi Kaqulja – Ch’ipi Nanawak

Esprimo l’intento di incontrare il bambino interiore e lascio andare il controllo. Permetto alla mia mente di suggerirmi immagini, pensieri, sensazioni. Ascolto il mio corpo.

Mi prendo un tempo per accogliere tutto ciò che emerge.

Se non emerge niente, evoco un ricordo della mia infanzia in cui mi sentivo particolarmente conness* con la natura.

Chiedo al bambino interiore di mostrarmi come posso onorarne e integrarne il potere. Mi riprometto di fare attenzione nella vita a questo potere creativo che fa parte di me e mi impegno a camminare le parole, le promesse che rivolgo.

Domanda che può essere utile per guidare la contemplazione del bambino interiore: come sta il mio cuore?

Jun Racan


Contemplo l’originalità del mio essere. La mia unicità. Contemplo il mistero insondabile del mio corpo e il mistero insondabile in cui sono immerso.

Domande che possono essere utili per guidare la contemplazione del potere creativo: sono io (intendendo l’ego) l’origine del mio corpo? Se non sono io, chi è?


Raxa Caqulja - Rax Nanawak


Contemplo i processi del mio corpo. Tutto dentro di me e fuori di me si ricrea in ogni istante. Mi immergo nell’allegria, nel rinnovamento e nella sorpresa del nuovo che appare.

Domande che possono essere utili per guidare la contemplazione del potere rigenerativo: sono io l’intelligenza che rigenera il mio corpo? Se non sono io, chi è?

Sposto l’attenzione dal dentro al fuori. Osservo una massa d’acqua (le nubi, il mare, un fiume, un lago – in casi estremi un catino d’acqua). La stessa intelligenza creativa e rigenerativa che percepisco dentro il mio corpo la ritrovo all’esterno.

Domande che possono essere utili per guidare la contemplazione: osservo la natura. È uno specchio in cui vedo il mio riflesso. Cosa vedo?

Io sono lo specchio in cui la natura si osserva. Che riflesso sto offrendo?

In piena connessione con il potere della natura all’opera in me e fuori di me, offro per il gusto di offrire. Offro per nutrire la relazione tra me e l’acqua. Posso offrire un canto, una presa di tabacco, una preghiera, una ciotola d’acqua.

Inspiro il cosmo, espiro morendo a me stess* e mi includo in tutto ciò che esiste.


I Gemelli Sacri

Conclusioni


Durante tutta la pratica è importante non giudicarsi e soprattutto non interrogarsi sullo “statuto di realtà” di quanto si sperimenta. Non esistono informazioni “oggettive” in questo senso, né assolute.

Ciò che si sente può trovare una corrispondenza con il passato in forma di ricordo, con il presente e il futuro (tramite la sincronicità, ovvero “nessi acausali” tra due eventi, in questo caso uno interiore e uno esteriore) o con la fantasia.

La fantasia è qualcosa che siamo abituati a catalogare come inconsistente, invece la capacità di immaginare potrebbe essere un vero e proprio “organo di senso”. Quando leggiamo un libro, per esempio, le aree del cervello che si attivano sono le stesse che si attiverebbero se stessimo vivendo le situazioni descritte.

Quindi quando pensiamo di “starcela raccontando” stiamo osservando dei contenuti profondi che ci possono dare delle preziose informazioni su cosa desideriamo e come ci piace autorappresentarci – elementi interessanti e utili quanto una sincronicità.

La pratica è particolarmente efficace quando la si adopera senza prefiggersi un fine. Permette proprio di uscire dalla logica ordinaria e di entrare nel puro sentire. È importante eseguirla come se fosse un gioco, ricordandosi l’importanza della leggerezza e della non-identificazione con qualunque cosa emerga.

La migliore attitudine con la quale possiamo approcciarci è quella della pura coscienza osservante, un’osservatrice attenta.

Uno dei luoghi che meglio esprimono l’attitudine degli antichi Maya davanti alla vita, al sacro e all’architettura è sicuramente la piazza dei Sette Templi di Tikal, uno dei siti archeologici più famosi del mondo. Ogni tempio fu costruito alla perfezione affinché in corrispondenza dei solstizi, degli equinozi e di altri momenti astronomici, il sole sorgesse precisamente sopra uno di essi a seconda del periodo dell’anno. Per essere immaginati e creati, i templi necessitarono di almeno settant’anni di osservazione costante. Attraverso lo stato di consapevolezza intensa, gli antichi furono in grado di intessere un dialogo con le forze dell’universo e di progettare e realizzare grandi opere. Attenzione è la parola chiave di tutta la Tradizione.

Attenzione – uno dei poteri simboleggiati dal personaggio di Hunajpu, nel Popol Vuh – è la capacità umana che possiamo utilizzare per trasformare la nostra percezione del mondo e il mondo stesso.

Buona vita e utile esistenza.



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