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  • Immagine del redattoreDiego Nicola Dentico

Riordinare l'altare per riordinare i pensieri


Questo è il mio altare portatile, non quello descritto nell'articolo
Il mio altare da viaggio

L’altare è un “portale”, una finestra affacciata sul mondo dello spirito o, come lo chiamerebbero i praticanti della tradizione occidentale, sui Piani Interiori. Mi piace sempre rimarcare l’idea che la spiritualità sia un linguaggio, pertanto non escluda niente.

Se le nostre esperienze e percezioni ci portano verso l’esplorazione di un non-luogo che chiamiamo spirituale va benissimo. Se, al contrario, ci portano verso un’interpretazione psicologica di determinati fenomeni (e gli spiriti diventano “archetipi”, l’estasi una “esperienza di picco”) va ugualmente bene.

Comunque si decida di guardare, l’altare è un luogo di incontro tra il singolo (o la comunità) e il sacro e si carica, mano a mano che il cammino va avanti, di molti oggetti-simbolo.


Ogni volta che entriamo in un momento di intensa attività della consapevolezza, soprattutto quando ci troviamo in natura, o in un cerchio di praticanti, potrebbe sorgere in noi il desiderio di ricordarlo attraverso un “segno”: una pietra, una piuma, una conchiglia, una foto… Questo fa sì però che, molto spesso, i nostri altari diventino dei concentrati di caos in grado di disorientarci piuttosto che darci un affaccio sereno sulle realtà non-ordinarie. Almeno, questo è quello che mi è capitato nella vita e che mi è successo anche di recente.


Invece di farmi fluire dolcemente nella meditazione e nella preghiera, il mio altare (che si era riempito di immagini, coppette, mille candele, rosari etc.) mi dava un senso di oppressione. La sensazione era la stessa di quando apro il PC per controllare i social network: una matassa di impulsi che arrivano tutti insieme, utili solo a stordirmi.


Ispirato dalla tredicina di Kame, la cui energia ci riporta direttamente al tema della pulizia e dell’essenzialità, ho deciso di rimettere ordine e dato che – come si diceva in apertura – sull’altare dentro e fuori coincidono, il riordino si è trasformato in una pratica di igiene interiore.


Mentre riordinavo ogni oggetto di potere richiamava una memoria: la circostanza nella quale lo avevo incontrato, la carica (e il carico) che l’insegnamento e l’insegnante avevano veicolato tramite quel simbolo, la medicina trasmessa.


Il tutto accompagnato da pochi spunti di riflessione: “Ci credo realmente in ciò che questo oggetto simboleggia? Cammino le parole dei canti e delle preghiere intessuti in questa materia? Ciò che si trova fuori di me, su questo altare, riverbera con ciò che si trova dentro?


In moltissimi casi la risposta è stata, facile aspettarselo, no!


Così, con molto amore e con molta gratitudine, ho benedetto e pulito gli oggetti con acqua salata prima di riporli nell'armadio (in alcuni casi li ho anche regalati).


Adesso il mio altare è decisamente molto snello, anche se forse meno gradevole alla vista di prima: una piuma di avvoltoio per il vento, raccolta sulle sponde del lago di Atitlàn, una candela per il fuoco, un’ossidiana per la terra, una ciotola per l’acqua e una giada per il centro… sullo sfondo un’immagine della Vergine di Guadalupe, che rappresenta un anello di congiunzione tra le antichissime tradizioni indigene e il mondo occidentale. Sotto il velo di Maria si nasconde il volto di Tonantzin, la Signora della natura dei popoli di lingua Nahuatl, ma anche l'antichissima Regina del Mediterraneo, Iside, la Dea dai 10.000 nomi.

Un nuovo altare molto semplice, eppure, per me, molto efficace.


Chiudo citando le parole di Alessandro Masini, del progetto The Labyrinth. La prima volta che decisi di affrontare un viaggio in Guatemala, mi affidai a lui e gli domandai come organizzare la valigia.


La risposta fu facile: “Ricordati, Nick: la libertà di un viaggiatore è inversamente proporzionale alle dimensioni dei suoi bagagli.


Un consiglio saggio, che vale anche per il pellegrinaggio della vita.



Nicola (Diego) Dentico



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