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  • Immagine del redattoreDiego Nicola Dentico

La malattia nella visione Maya

Aggiornamento: 23 feb




Immaginando una storia della medicina che va da una concezione animistica (le malattie dipendono dalla volontà degli spiriti) fino a una moderna (le malattie sono prettamente “errori” biologici), passando per le medicine tradizionali, quali Ayurveda o Medicina Tradizionale Cinese, (la malattia è un disequilibrio del sistema corpo-energia), il Curanderismo si pone a metà strada fra il primo e il terzo paradigma.


(Nel Giardino delle Curanderas)


Negli ultimi tempi mi sono trovato a fare i conti con infermità gravi che hanno colpito alcuni miei amici e la cosa mi ha destabilizzato. Fortunatamente i differenti episodi si sono conclusi bene, ma questo sconvolgimento mi ha spinto a voler approfondire e condividere la percezione della malattia all’interno della Cosmovisione Maya.

Normalmente, quando parliamo di questo tema, siamo abituati ad utilizzare, persino in campo medico, un linguaggio aggressivo. “Puoi vincere la battaglia” è una delle frasi che più sentiamo pronunciare, anche in casi piuttosto pesanti, quando la persona malata magari avrebbe bisogno di qualunque cosa (tipo ascolto, comprensione, appoggio), tranne che di esortazioni militaresche.

Nelle tradizioni sciamaniche del Guatemala la ricerca della cura va in direzione opposta: per ricomporre l’unità frantumata da cui lo stato di malessere origina, lo sciamano dialoga con la malattia anziché trasformarla in un nemico. Non a caso, quando ancora il termine chaman non era penetrato nel tessuto linguistico delle comunità indigene, la parola spagnola utilizzata per definire i guaritori tradizionali era abogados, “avvocati”.


***


La strada nera


Innumerevoli erano gli alberi spinosi, e sono passati senza farsi male. Poi hanno raggiunto il bordo del fiume di sangue, e l'hanno attraversato senza bagnarsi. Sono arrivati ad un altro fiume, solo d'acqua, ed è andata bene perché non sono stati sconfitti. Poi è arrivato là dove c'erano quattro strade incrociate: pensavano di sconfiggerli, là dove c'erano quattro strade incrociate. Una strada rossa, una strada nera, una strada bianca, una strada gialla, quattro strade.


(Popol Vuh)


Nella Cosmovisione Maya, i quattro punti cardinali sono considerati gli assi portanti di tutta la geografia immaginale, delle descrizioni metafisiche della realtà invisibile. Ogni direzione è una strada, un portale, che ci può portare in profondità nei regni superiori o inferiori.

Il Nord, simbolicamente legato al colore bianco – come la luna e le stelle nella notte – rappresenta il cammino sacro, l’albero cosmico che conduce all’Est (rosso), luogo della resurrezione del Sole e, per estensione, di tutte quelle anime che ascendono al lato sottile del cosmo. Il Sud, connesso al giallo, è la strada della vita, irta di difficoltà ma anche piena di bellezza, che conduce verso Ovest, al cammino nero, alla discesa nei tenebrosi reami di Xibalbà, il “luogo occulto” (oppure il luogo del terrore), il mondo di sotto della visione sciamanica.

In tutte le culture sciamaniche lo Xibalbà, equivalente dell'Uju-pacha andino o del Kheru Ergu Buga degli Evenki, o ancora dell’Ade classico, è descritto come un regno di energie dense, abitato da memorie, da anime perdute e, spesso, da spiriti animali. Mentre per alcune Cosmovisioni, la densità del mondo di sotto è “magmatica”, connessa ai movimenti potenti e invisibili dell’inconscio, ma essenzialmente innocua, la Cosmovisione Maya lo descrive come un luogo pericoloso, un abisso buio, abitato da spiriti apparentemente ostili alla vita e da mostri di ogni genere.


La visione di Xibalbà è ben descritta all’interno del Popol Vuh, poema mitico in cui i due gemelli Hunajpu e Ixbalamkiej, discendono nel regno dei Signori della Morte per riscattare la testa del padre, Hunhunajpu, ucciso precedentemente da questi ultimi.

Il racconto narra che i due gemelli dovettero affrontare diverse prove prima di giungere a Xibalbà, quali attraversare fiumi tossici, infetti, o addirittura fatti di scorpioni. Dopo i fiumi, rischiarono di perdersi a causa di un crocevia posto per confondere i passanti, infine riuscirono ad essere accolti dai signori del luogo Hun Keme (1 Morte) e Wuqub’ Keme (7 Morte).


Xibalbà viene presentata come una terra ampia, in cui sono addirittura presenti città, ovviamente piene di trabocchetti e di trappole atte a uccidere, e dove esistono diverse case (queste, forse, connesse ai moti di Venere) di tormento simili ai vari “livelli” dell’Oltretomba azteco.

Il mito fa riferimento al cammino spirituale dell’iniziato ma anche al processo di guarigione. Infatti Hunajpu e Ixbalamkiej, al termine di un’avventura densa di simboli, riescono, arrendendosi, a soggiogare i poteri della Morte, resuscitando, a riportare in vita il padre e ad ascendere, arrampicandosi sull’albero cosmico della ceiba, fino al mondo celeste, dove si tramutano nel sole e nella luna.

Parliamo ora degli abitanti di questo regno e dei “fiori di Xibalbà”, ovvero le malattie e gli spiriti di malattia che possono raggiungere il nostro mondo come portavoce dei Signori della Morte.


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I fiori di Xibalbà


Quale sarebbe il nostro premio?” – domandarono i Signori di Xibalbà.

Decidete voi”, risposero Hunajpu e Ixbalamkiej.

Vinceremo solo quattro vasi di fiori. (…) Una jicara di petali rossi, una di petali bianchi, una di petali gialli e una di fiori interi.”

(Popol vuh)


Nella visione Maya esistono diversi “classi” in cui possiamo suddividere le infermità.

La prima classe è quella delle malattie comuni (che si possono curare con le erbe o le manovre corporee).

La seconda classe è quella composta dalle malattie derivanti da attività maligne: ovvero quelle che vengono considerate normalmente folk illness e vengono trattate con una combinazione di erboristeria e cerimonie di cura quali la limpia o il temazcal. Tra le cause di queste infermità è interessante menzionare sia la “maledizione”, un colpo energetico che il profano subisce maneggiando oggetti sacri senza avere una preparazione adeguata, sia Wuqub’ Qaqix, un personaggio mitico che rappresenta l’ego umano ipertrofico.

La terza classe, quella più grave, consta delle malattie provenienti da Xibalbà. In questi casi cerimonie di cura ed erbe non sono più sufficienti e gli sciamani sono obbligati a intessere una relazione con gli spiriti che hanno causato gli stessi disturbi. Spesso addirittura a onorarli attraverso cerimonie di offerta.


Il Popol Vuh non spiega nel dettaglio chi siano gli abitanti di Xibalbà: anime perdute? Demoni? Umani che hanno abbandonato la luce per venerare l’oscurità? Non è chiaro. Gli spiriti portatori delle malattie, invece sono descritti e indicati come la nobiltà del regno inferiore. Ogni spirito ha una peculiarità e agisce in maniera specifica.


Hun Keme (Origine della Morte): spirito che provoca la morte improvvisa;

Wuqub’ Keme (Potere della Morte): spirito che provoca una morte lenta e dolorosa;

Xik’qiripat (Essere che viaggia attraverso il vento): spirito che provoca epidemie e pandemie;

Q’uch’um ma qik (Signore del sangue in fermentazione): spirito che provoca malattie a partire dalla putrescenza del sangue (acidosi, anemia, acidofilia, leucemia: potenziate da “caduta dell’ombelico”, obesità e perdita d’anima);

Ajal puj (Spirito del pus): spirito che produce la putredine nella carne con relative malattie;

Ajalq’ana’o (Spirito dei fluidi giallastri): spirito dell’itterizia;

Ch’am yabaq’ (Acqua fermentante nelle ossa): spirito che provoca malattie mediante l’infezione delle ossa o del midollo osseo: osteoporosi, cancro alle ossa, fratture;

Ch’am yajolom (Acqua fermentante nella testa): spirito che provoca infezioni cranio-encefaliche: tumori, idrocefalie, meningiti;

Ajalmes (Essere del fluido sporco): spirito che provoca una graduale degenerazione del corpo, della mente e dello spirito;

Ajaltoq’q’ob (Essere del fluido che ferisce e menoma): spirito che provoca ferite, perforazioni, ulcere, emorragie, cancro e diabete;

Kik’xik’ (Sangue che si espande nel vento): spirito che provoca infezioni del sangue e le propaga attraverso il vento;

Qiq’ re’ qiq’ (Dente insanguinato): spirito che provoca sanguinamento profuso delle gengive;

Qiq’rax’qaq’ (Sangue verde1 bollente): spirito che provoca generiche infermità del sangue.


Le curanderas e i curanderos moderni dialogano ancora con questi esseri per comprenderne il messaggio e poter così sostenere nella guarigione i loro pazienti. Il maestro di uno dei miei maestri di tradizione Quiché era solito utilizzare la cerimonia del fuoco come mezzo per parlare direttamente con i signori di Xibalbà, ma ovviamente il fuoco non é l’unico strumento.

Ho scritto “dialogano” anziché “combattono”, riconnettendomi all’apertura di questo post. La marzializzazione dello stato di malattia è un’invenzione occidentale. Si tratta di una visione in cui si lotta, in cui si vince o si perde, in cui ci si estrania dal proprio corpo o dalla propria condizione, riproponendo un’ottica competitiva (e malata) in cui si ricerca la vittoria a tutti i costi, dimenticando che a essere “sconfitta” durante una guarigione è comunque una parte di noi che non riconosciamo come tale. Essenzialmente, si tratta di una visione viziata, in cui chi non “vince” la malattia, in qualche maniera se l’è cercata e troppo spesso si colpevolizzano i malati per la loro condizione, come se in qualche maniera non volessero guarire.

Nella visione sciamanica del Guatemala, la malattia è strettamente relazionata al concetto di Morte e Trasformazione, come è evidenziato dal fatto che i due signori di Xibalbà sono entrambi manifestazione del nahual Keme e sono quindi perfettamente incorporati all’ordine cosmico. Le malattie, nel mondo Maya, arrivano sempre per “uccidere”, sia in senso letterale sia in senso metaforico: ovvero per portare un messaggio di trasformazione nella vita di chi è colpito.

Per questa ragione lo sciamano diventa un avvocato che deve mediare tra l’invito alla trasformazione e lo stesso paziente che dovrebbe integrare questo invito. La metafora dell’integrazione e della trasformazione come guarigione è presente nel mito. Non è un caso che i due gemelli incorporino i poteri della Morte attraverso la loro stessa morte e si trasformino in varie forme prima di elevarsi nel mondo superiore (Kaj o Kan) come esseri celestiali.


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Conclusioni


Attraverso la forza dell’immagine, che si esprime come sintomo, […] L’uomo naturale, che si identifica con lo sviluppo armonico, l’uomo spirituale, che si identifica con la perfezione trascendente, e l’uomo normale, che si identifica con l’adattamento pratico e sociale, deformati, si trasformano nell’uomo psicologico, che si identifica con l’anima.

(James Hillman)


Le immagini dei “demoni” della corte di Xibalbà non vanno prese alla lettera, così come non andrebbero prese alla lettera le allegorie di una qualunque Cosmovisione del mondo. Fanno, però parte del mondo immaginale della cultura Maya antica che ancora oggi, sopratutto all’interno dei lignaggi Quiché, si ripropone nelle tradizioni sciamaniche odierne.

I curanderos moderni in realtà si sono spinti oltre nell’osservazione dello sviluppo delle malattie. Tanto all’interno delle comunità Maya quanto all’interno di comunità di altre etnie (come per esempio gli Huicholes del Messico) è stata aggiunta una nuova categoria di malattie, ovvero le malattie occidentali. Secondo alcuni guaritori tradizionali, persino le “malattie dell’uomo bianco” hanno subito l’influsso della separazione dalla natura che contraddistingue la nostra società e persino loro si sono corrotte, trasformandosi in spiriti pericolosissimi che non dialogano con gli sciamani e non trovano il proprio posto nell’ordine naturale come invece gli appartenenti alla signoria di Xibalbà.


1 In lingua Maya Kaqchiquel, quando si parla di “sangue verde” si fa riferimento ai brividi.


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